A cura dei legali Aldo Esposito e Ciro Santonicola.
Nelle aule di giustizia continuano a susseguirsi gli accoglimenti in merito al riconoscimento del bonus formativo Carta Docenti, a beneficio dei precari. Infatti, la clausola 4, punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999) osta ad una normativa nazionale volta a concedere il vantaggio finanziario “al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell’Istruzione e del merito” e non a quello a tempo determinato, per la formazione continua dei docenti e la valorizzazione delle competenze professionali.
Tuttavia, tra le tesi difensive propugnate dal ministero, che possono suscitare la curiosità del lettore, ne emerge una, a nostro parere particolarmente originale: posto che il Ministero riconosce ai soli docenti di ruolo (e con cadenza annuale) un buono elettronico di spesa dell’importo annuo di 500 euro (maturato tra il 1° settembre e il 31 agosto di ciascun anno scolastico), tale credito elettronico – che dunque non ha natura temporalmente limitata – deve essere necessariamente utilizzato, a pena di scadenza, entro il termine dell’anno scolastico successivo. Parliamo, dunque, di una limitazione temporale di tipo biennale.
Orbene, da tale argomentazione deriverebbe che il docente precario non potrebbe “ora” rivendicare in giudizio la corresponsione dei crediti elettronici, relativi agli anni scolastici antecedenti al periodo biennale di fruibilità previsto per i docenti a tempo indeterminato. Fortunatamente, a tali argomentazioni obietta il Giudice del lavoro di Siena, dott. Delio Cammarosano, in alcune recentissime sentenze, essendosi espresso nei seguenti termini:
Quanto all’introduzione, da parte dell’Amministrazione, di una sorta di decadenza ontologica dal diritto – in quanto strettamente correlato il beneficio a un’annualità scolastica, o al più alla successiva, altrimenti vanificandosi l’imprescindibile funzionalità formativa – può obiettarsi che in tal caso assisteremmo, inammissibilmente, all’imposizione di una causa estintiva di un diritto al di fuori di qualsiasi previsione normativa o contrattuale e al verificarsi di una decadenza, come detto ricostruita a posteriori e solo in via meramente interpretativa, alla quale ha dato causa la stessa Amministrazione debitrice con il proprio consolidato orientamento negativo. L’istituto della prescrizione già assolve alla funzione di deterrente e limita il mancato tempestivo esercizio del diritto. Del resto, propugnare simile rigorosa interpretazione decadenziale condurrebbe alla dilagante proposizione di domande risarcitorie con un primo effetto immediato in termini di aumento dell’onere delle spese legali per la parte soccombente… La valutazione del danno, che procederebbe ampiamente su base equitativa, non potrebbe poi discostarsi di molto, annualmente, dal medesimo importo della Carta Docente, per non parlare della possibilità non remota di argomentate ricostruzioni di danni patrimoniali e soprattutto non patrimoniali per effetto della discriminazione subita di incalcolabile valore. Pertanto, il riconoscimento del beneficio “ora per allora”, dal contenuto importo noto, ragionevolmente dissuade dall’anelito punitivo di chi non ha chiesto la Carta a suo tempo. Infatti, la persona interessata sarebbe andata incontro, in ipotesi superata l’obiettiva impossibilità della domanda nelle forme dovute, a uno scontato diniego e comunque ha subito un trattamento discriminatorio oggi sostanzialmente indennizzabile con modesto importo”.
In altre parole, a fronte dell’eccezione ministeriale di decadenza dal diritto a ricevere il bonus formativo “per il periodo antecedente l’ultimo biennio”, è possibile replicare che si tratterebbe di una causa estintiva del diritto “non prevista dalla normativa o dal contratto”, cagionata, tra l’altro, dalla stessa Amministrazione con il suo orientamento negativo in merito al riconoscimento della quota “anche a beneficio dei precari”.
Ergo, il riconoscimento del beneficio “ora per allora” contribuisce ad evitare la proposizione di domande risarcitorie, con maggiori oneri per la parte soccombente e per la valutazione del danno (patrimoniale e non) causato dalla discriminazione subita.
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