Analisi normativa dei legali Aldo Esposito e Ciro Santonicola.
Il minore non disabile con difficoltà di apprendimento, confermate da una certificazione DSA (disturbo specifico dell’apprendimento), necessita di un piano didattico personalizzato (PDP), strumento chiave nel contesto dell’educazione inclusiva.
La richiesta del PDP può essere avanzata dai genitori, dal docente o da un professionista sanitario.
Dopo aver ottenuto la certificazione DSA (a seguito della valutazione di un professionista sanitario come un neuropsichiatra infantile o uno psicologo), è essenziale che il genitore la presenti alla scuola, affinché il percorso didattico adeguato possa essere elaborato “entro i primi tre mesi dell’anno scolastico”.
Il PDP è un documento dinamico, che va aggiornato regolarmente per rispecchiare i progressi dello studente/alunno e le nuove esigenze. Lo stesso può includere misure compensative e dispensative, come tempo extra per le verifiche scritte, se indicato nella diagnosi.
Viene in rilievo, dal punto di vista normativo, la legge delega n. 53 del 2003, di riforma del sistema scolastico italiano, che all’art. 2, par. 1, lett. a), stabilisce tra i criteri della delega “il diritto all’apprendimento in tutto l’arco della vita” e l’assicurazione per tutti di “pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”.
Segue, in riferimento agli alunni con problematiche speciali, la legge n. 170 del 08 ottobre 2010, intitolata “nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”.
In particolare, l’art. 1 comma 1 riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia come disturbi specifici di apprendimento (DSA), che rappresentano una significativa limitazione in alcune attività quotidiane.
L’art. 2 della Legge n. 170 del 08 ottobre 2010 enuncia le finalità perseguite dal legislatore, tra cui la garanzia del diritto all’istruzione, favorire il successo scolastico attraverso misure didattiche di supporto e l’adozione di forme di verifica e valutazione adeguate alle esigenze degli studenti.
Analizzando l’articolo 5 della citata legge, intitolato “misure educative, didattiche e di supporto”, si evince che gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a provvedimenti specifici di flessibilità didattica, nonché a forme di verifica e valutazione adeguate, compresi gli esami di Stato e di ammissione all’università.
Con il D.M. 12 luglio 2011 n. 5669 e con le allegate “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”, il Ministero ha dettato le modalità di formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici, le misure educative e didattiche di supporto utili a sostenere il corretto processo di insegnamento/apprendimento fin dalla scuola dell’infanzia, nonché le forme di verifica e di valutazione per garantire il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA), nelle scuole di ogni ordine e grado del sistema nazionale di istruzione e nelle università.
Il 27 dicembre 2012 è stata emanata la Direttiva Ministeriale relativa a “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, la quale, partendo dal modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità in una prospettiva bio-psico-sociale, ha evidenziato l’esistenza di un’area dello svantaggio scolastico, più vasta dei DSA, indicata come “area dei Bisogni Educativi Speciali (BES)”. Questa area comprende tre grandi sotto-categorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale. Per “disturbi evolutivi specifici” si intendono, oltre ai DSA, anche i “deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria” e quelli dell’attenzione e dell’iperattività.
Queste problematiche, che normalmente non vengono o possono non essere certificate ai sensi della legge n. 104 del 1992, non rientrano nella definizione di handicap in senso stretto e non danno diritto alle misure di cui alla legge in questione, tra cui l’insegnante per il sostegno e la predisposizione di un Piano educativo individualizzato (PEI).
La Direttiva del 2012 ha esteso a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento, richiamandosi ai principi enunciati dalla Legge n. 53 del 2003.
Successive Circolari del M.I.U.R., tra cui quella del 6 marzo 2013, hanno chiarito il ruolo dei Consigli di classe nella redazione del Piano Didattico Personalizzato in presenza di alunni con BES.
Infine, una nota del 22 novembre 2013 ha consentito al M.I.U.R. di fornire ulteriori specificazioni sui P.D.P. anche in relazione agli alunni con B.E.S.
Secondo il Ministero, “la scuola può intervenire nella personalizzazione in tanti modi diversi, informali o strutturati, secondo i bisogni e la convenienza; pertanto, la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all’attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di un Piano Didattico Personalizzato”, in quanto “la Direttiva ha voluto in primo luogo fornire tutela a tutte quelle situazioni in cui è presente un disturbo clinicamente fondato, diagnosticabile ma non ricadente nelle previsioni della Legge 104/92 né in quelle della Legge 170/2010. In secondo luogo, si sono volute ricomprendere altre situazioni che si pongono comunque oltre l’ordinaria difficoltà di apprendimento, per le quali dagli stessi insegnanti sono stati richiesti strumenti di flessibilità da impiegare nell’azione educativo-didattica.” “In ultima analisi, al di là delle distinzioni sopra esposte, nel caso di difficoltà non meglio specificate, soltanto qualora nell’ambito del Consiglio di classe (nelle scuole secondarie) o del team docenti (nelle scuole primarie) si concordi di valutare l’efficacia di strumenti specifici, questo potrà comportare l’adozione e quindi la compilazione di un Piano Didattico Personalizzato, con eventuali strumenti compensativi e/o misure dispensative”.
Il Piano Didattico Personalizzato (PDP) per gli alunni con DSA è dunque elaborato dal Consiglio di Classe, come disposto dalla normativa vigente (D.M. 5669/2011) e nasce dalla cooperazione tra docenti, genitori e, talvolta, professionisti esterni.
Esso descrive dettagliatamente:
• le competenze e le abilità dello studente/alunno, le aree di forza e di debolezza;
• le difficoltà di apprendimento e come queste influenzano il percorso educativo, specificando le strategie e i metodi di insegnamento per ciascuna disciplina scolastica (includendo, eventualmente, le misure dispensative e gli strumenti compensativi per facilitare l’apprendimento);
• gli obiettivi specifici che riflettono le esigenze di apprendimento e le aree di miglioramento;
• il piano di valutazione personalizzata.
Il quadro normativo complessivo muove da una sorta di graduazione dei diversi livelli e tipologie di svantaggio (condizioni di disabilità in base alla legge n. 104 del 1992, studenti con disturbi specifici dell’apprendimento -DSA- come definiti all’art. 1 della legge n. 170 del 2010 e studenti con bisogni educativi speciali -BES- individuati in applicazione di principi normativi nella richiamata direttiva ministeriale del 2012) rispetto ai quali mutano altresì gli strumenti indicati dal legislatore per garantire diritti fondamentali della persona, quali quello all’istruzione, all’apprendimento e allo studio in generale, oltre che all’inclusione sociale e alla non emarginazione.
Tanto esposto, occorre sottolineare che, con riferimento agli studenti affetti da DSA e conseguentemente per quelli con BES, gli strumenti apprestati dall’ordinamento sono individuati nelle misure compensative e dispensative indicate nel PDA, rispetto alle quali la finalità sottesa resta quella di garantire, di norma, livelli di apprendimento e competenze che non siano inferiori a quelli minimi richiesti agli altri studenti, ma semplicemente siano raggiunti e valutati secondo modalità che consentano di superare il deficit derivante dalla condizione di svantaggio.
La finalità dell’adozione di misure compensative e dispensative è proprio quella di assicurare, attraverso tali strumenti, al minore in condizione di svantaggio il raggiungimento quantomeno di obiettivi minimi di apprendimento che non siano discriminanti o mortificanti rispetto agli altri studenti.
Si legge al comma 5 dell’art. 4 del Decreto ministeriale n. 5669 del 2011 relativamente agli alunni e studenti con DSA: “L’adozione delle misure dispensative è finalizzata ad evitare situazioni di affaticamento e di disagio in compiti direttamente coinvolti dal disturbo, senza peraltro ridurre il livello degli obiettivi di apprendimento previsti nei percorsi didattici individualizzati e personalizzati”.
All’adozione di misure didattiche fa da corollario quella di modalità valutative che siano idonee a consentire “all’alunno o allo studente con DSA di dimostrare effettivamente il livello di apprendimento raggiunto, mediante l’applicazione di misure che determinino le condizioni ottimali per l’espletamento della prestazione da valutare – relativamente ai tempi di effettuazione e alle modalità di strutturazione delle prove – riservando particolare attenzione alla padronanza dei contenuti disciplinari, a prescindere dagli aspetti legati all’abilità deficitaria” (D.M. 12 luglio 2011 n. 5669).
La valutazione degli insegnanti deve, infatti, distinguere tra quanto è espressione diretta del disturbo e ciò che esprime l’impegno dell’allievo e le conoscenze effettivamente conseguite.
La normativa illustrata consente di pervenire ad alcune conclusioni:
• i bisogni educativi speciali (BES) ricomprendono un ampio spettro di situazioni di svantaggio o solo disagio dell’alunno, più o meno patologiche e più o meno gravi, che non necessariamente sfociano in DSA (quali dislessia, discalculia, etc.) ma che, stante la loro natura, da accertarsi di volta in volta, comportano l’adozione di misure compensative e dispensative, al fine di consentire la piena integrazione dell’alunno nell’ambito della classe e il proficuo svolgimento delle attività didattiche specifiche per il corso di studi;
• l’individuazione degli alunni con B.E.S. è di competenza esclusiva del Consiglio di classe, che opera di regola sulla base della documentazione clinica presentata dalle famiglie e di considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico, ma che (si veda la circolare MIUR n. 8 del 6 marzo 2013) può pervenire a tale individuazione anche “ove non sia presente certificazione clinica o diagnosi,… -motivando- ..opportunamente, verbalizzando, le decisioni assunte sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche; ciò al fine di evitare contenzioso”.
Sotto questo profilo, la nota MIUR del 22 novembre 2013 è estremamente precisa e chiarificatrice, in quanto, integrando la disciplina preesistente, distingue tra “ordinarie difficoltà di apprendimento”, “gravi difficoltà di apprendimento” e “disturbi di apprendimento”.
La differenza tra le prime e le seconde sta essenzialmente nella temporaneità delle une rispetto alle altre, posto che le seconde “hanno un carattere più stabile o comunque, per le concause che le determinano, presentano un maggior grado di complessità e richiedono notevole impegno affinché siano correttamente affrontate”.
Il disturbo di apprendimento ha invece carattere permanente e base neurobiologica.
Secondo il Ministero, “la scuola può intervenire nella personalizzazione in tanti modi diversi, informali o strutturati, secondo i bisogni e la convenienza; pertanto, la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all’attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di un Piano Didattico Personalizzato”, in quanto “la Direttiva ha voluto in primo luogo fornire tutela a tutte quelle situazioni in cui è presente un disturbo clinicamente fondato, diagnosticabile ma non ricadente nelle previsioni della Legge 104/92 né in quelle della Legge 170/2010. In secondo luogo, si sono volute ricomprendere altre situazioni che si pongono comunque oltre l’ordinaria difficoltà di apprendimento, per le quali dagli stessi insegnanti sono stati richiesti strumenti di flessibilità da impiegare nell’azione educativo-didattica”.
“In ultima analisi, al di là delle distinzioni sopra esposte, nel caso di difficoltà non meglio specificate, soltanto qualora nell’ambito del Consiglio di classe (nelle scuole secondarie) o del team docenti (nelle scuole primarie) si concordi di valutare l’efficacia di strumenti specifici, questo potrà comportare l’adozione e quindi la compilazione di un Piano Didattico Personalizzato, con eventuali strumenti compensativi e/o misure dispensative”.
Inoltre, “non è compito della scuola certificare gli alunni con bisogni educativi speciali, ma individuare quelli per i quali è opportuna e necessaria l’adozione di particolari strategie didattiche”.
Pertanto, “anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o di DSA, il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Piano Didattico Personalizzato, avendo cura di verbalizzare le motivazioni della decisione”.
Diventa, tra l’altro, fondamentale la distinzione tra “certificazione” e “diagnosi”. Mentre la certificazione ha un valore legale e attesta il diritto dell’interessato a beneficiare di determinate misure previste dalla legge, la diagnosi è un giudizio clinico che attesta la presenza di una patologia o di un disturbo. Quest’ultima può essere rilasciata da professionisti del settore sanitario, come medici o psicologi, e rappresenta la base per l’attivazione delle misure di sostegno previste dalla legge.

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