Un dialogo socratico sui paradossi che trasformano il merito in mancanza e la casualità in diritto

Di Aldo Esposito e Ciro Santonicola


Dimmi, Menone, che cos’è la virtù?” Così Socrate iniziava uno dei suoi dialoghi più celebri, fingendo di non sapere per far emergere la verità nascosta nelle contraddizioni del suo interlocutore. Oggi, di fronte alle particolarità della cosiddetta Fase Zero nelle supplenze scolastiche, potremmo rivolgere la stessa domanda al nostro sistema educativo: “Dimmi, cara Scuola, che cos’è davvero il merito?” E come il giovane Menone di allora, scopriremmo che ciò che sembrava ovvio nasconde, probabilmente, abissi di contraddizioni.

C’è una storia che si ripete in diverse di varianti in tutta Italia, una storia che merita di essere raccontata non per il suo carattere eccezionale, ma proprio per la sua drammatica ordinarietà. È la storia della Dottoressa Novantacinque – chiamiamola così per sottolineare il simbolo che rappresenta.

La Dottoressa Novantacinque ha dedicato anni della sua vita a formarsi. Specializzazione sul sostegno conseguita con il massimo dei voti, corsi di aggiornamento continui. Il sistema le ha riconosciuto 95 punti in graduatoria GPS, un punteggio che dovrebbe garantirle non solo il lavoro, ma anche la soddisfazione di vedere riconosciute le sue competenze.

Quest’anno, però, la Dottoressa Novantacinque non è stata convocata. Il posto che le spettava per diritto e per merito è andato alla Signora Quaranta – anche questo un nome di fantasia, ma tremendamente reale nella sua simbolicità. Quaranta punti, specializzazione di base. Ma un vantaggio incolmabile: aveva lavorato l’anno scorso.

Ora, caro lettore che forse ti riconosci in una di queste due figure, fermati un momento e rifletti.

Se tu fossi il genitore di un bambino con disabilità, se dovessi scegliere a chi affidare l’educazione di tuo figlio, chi sceglieresti? La competenza certificata o la casualità in alcune ipotesi confermata? E se la tua risposta è ovvia, perché il sistema sceglie diversamente?

Ma c’è di più. Se la Signora Quaranta ha ottenuto il posto con soli 40 punti, significa che l’anno scorso non c’erano docenti più meritevoli disponibili? E se c’erano perché non sono stati scelti allora? Non stiamo forse assistendo a un meccanismo che cristallizza, con le novità introdotte, gli errori del passato trasformandoli in diritti acquisiti?

La Dottoressa Novantacinque, leggendo queste righe, potrebbe chiedersi con legittima amarezza: “Ma io, concretamente, cosa posso fare?” La risposta risiede nella conoscenza dei propri diritti e degli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione. Quando un diritto costituzionale viene violato – e il diritto al lavoro basato sul merito è certamente tale – esistono rimedi giuridici specifici, previsti dalla legge e consolidati dalla giurisprudenza.

C’è qualcosa di profondamente inquietante nell’idea che un algoritmo – una sequenza di istruzioni matematiche che dovrebbe essere l’emblema della razionalità – possa produrre risultati considerati così irrazionali. L’algoritmo che governa la Fase Zero conosce perfettamente i punteggi, i titoli, le competenze di ogni docente. Sa che la Dottoressa Novantacinque è più qualificata della Signora Quaranta. Eppure deve scegliere, in determinate ipotesi, la meno qualificata.

È come programmare un navigatore che, pur conoscendo la strada più breve, sceglie quella più lunga. O come costruire una bilancia che pesa correttamente, ma poi indica il peso minore come maggiore. Non sarebbe forse questa la definizione stessa dell’assurdo?

C’è chi ha definito questo sistema “sperimentale”, ma riflettiamo insieme: è accettabile sperimentare sui diritti delle persone? Se un medico vi dicesse “Proverò questa nuova terapia su di lei, è sperimentale, non so se funziona, ma vedremo”, come reagireste? Eppure, questo è esattamente ciò che sembra accadere, in molte ipotesi segnalate, con la Fase Zero.

Esiste, inoltre, un’Italia a due velocità anche nella trasparenza amministrativa. In un determinato ambito territoriale, l’Ufficio Scolastico pubblica regolarmente il bollettino zero. I docenti sanno chi è stato confermato, possono verificare la correttezza delle procedure, possono eventualmente valutare le proprie opzioni. È la trasparenza come dovrebbe essere: cristallina, verificabile, democratica.

In altro territorio, sempre italiano, il bollettino zero rimane avvolto nel mistero. I docenti brancolano nel buio, non sanno se i posti sono disponibili, non possono verificare nulla. L’opacità, in questi casi, si eleva a sistema, con negazione del principio di trasparenza che dovrebbe governare ogni azione della pubblica amministrazione.

Ora, dimmi: Non sarebbe questo il sintomo di una norma che lascerebbe troppo spazio all’arbitrio, o peggio, di un sistema che tollererebbe l’arbitrio purché nascosto?

I docenti dell’altra Italia, di fronte a questa disparità di trattamento, potrebbero sentirsi impotenti.

Ma l’ordinamento prevede strumenti specifici per garantire l’uguaglianza. La Legge 241 del 1990 (sul diritto di accesso) e il Decreto Legislativo 33 del 2013 (sulla trasparenza) sono norme che ogni cittadino può invocare per ottenere le informazioni che gli spettano di diritto.

La matematica del paradosso

Un’equazione, proposta in Fase Zero, ha sfidato ogni logica matematica: 40 punti con continuità è maggiore di 95 punti senza continuità. In quale universo parallelo questa formula avrebbe senso? In quale sistema di valori la casualità prevarrebbe sulla competenza?

Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se applicassimo questa logica ad altri settori della vita pubblica. Negli ospedali, il medico meno preparato ma “confermato” opererebbe prima di quello più competente ma “nuovo”. Negli uffici pubblici, il funzionario meno qualificato ma “stabile” assumerebbe le decisioni più importanti.

Socrate morì per le sue idee, ma le sue idee sopravvissero a lui e continuano a illuminare il cammino di chi cerca la verità. Quali idee vogliamo che sopravvivano a noi? L’idea che il merito non conta? O l’idea che ogni ingiustizia può essere contrastata attraverso gli strumenti che l’ordinamento prevede?

Perché, come insegnava il Maestro, una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta. E noi aggiungiamo: una ricerca senza azione non è degna di essere chiamata tale.

Avv. Aldo Esposito e Avv. Ciro Santonicola
Studio Legale Esposito & Santonicola
ScuolaLex – www.scuolalex.it

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